Di Nerolla
Sono intrecci di acciaio, arabeschi di ferro, volute di ottone scintillante o fiori delicati ricavati da materiale di scarto: sono le opere di Lanzuk, al secolo Stefano Lanzoni, artista romano classe 1964, nato sotto la creatività del segno zodiacale del Leone. “Io credo più a questo che a qualcosa di più sacro, negli ultimi anni diciamo che la fede ce l’hanno messa a dura prova. Mi perdonerà, se esiste mi perdonerà, perché comincio ad avere qualche perplessità. Se c’è, ha girato le spalle”. È inevitabile in questo periodo non cominciare un incontro riflettendo sul mondo scosso dal Covid e dalle bombe in Ucraina. Prezioso è, quindi, rapportarsi con artisti come Lanzuk, la cui arte fa parte di quel bello che può salvare il mondo. Chi frequenta Ponte Milvio Antiquariato sa che ormai da anni lui è una colonna portante, l’ultimo espositore partendo dal ponte dei lucchetti degli innamorati o il primo provenendo dal Ponte Duca D’Aosta.
Come nasce il nome d’arte Lanzuk?
“È solo uno pseudonimo, la stortura del mio cognome. È il nomignolo che mi fu affibbiato tantissimi anni fa dalla mia prima fidanzatina, non so in quale circostanza mi chiamò Lanzuk, Lanzucchino, una stortura come se ne fanno tante coi cognomi. All’epoca si usava, qui a Roma era un’abitudine diffusa quella di chiamare le persone per cognome storcendolo”.
Da quando hai la Lanzuk Industry Design, com’è indicato il tuo laboratorio sulla pagina Facebook?
“Veramente non sono stato io a dare quel nome, ma è stata un’amica dell’Aquila che per regalo mi aveva aperto il sito Internet e ha pensato lei a dargli il nome. A me non sarebbe mai venuta l’idea della Lanzuk Industry Design. Infatti, è solo il nome della pagina, ma non la menziono mai. Io per la firma utilizzo o Lanzuk o l’acronimo Lzk, dipende su dove firmo, su quanto spazio ho. Lanzuk Industry Design sembra quasi un’industria vera e propria, invece la mia è più una forma di scultura moderna luminosa, perché in realtà non appartiene a nessun tipo di arte già conosciuta, contemporanea, postmoderna o concettuale. La mia arte è stata definita in mille modi, poi un signore disse: ‘Queste sono semplicemente delle sculture luminose, fatte da un artista originale, e non appartengono a nessun filone artistico già conclamato e conosciuto. In effetti, è vero, perché io faccio tutte queste cose assolutamente in totale libertà mentale, non mi ispiro a niente e a nessuno. Io cerco di dare forme il più possibile armoniche a degli oggetti magari che tra di loro fanno a cazzotti, però poi alla fine trovo sempre una maniera per farli andare d’accordo. Cerco di fare questo con delle forme astratte a volte, o altre semplicemente con delle rivisitazioni personali. Talvolta, ci sono degli oggetti, come macchine, navi, treni, che sono cose che esistono e che, però, io le rivisito a mente libera, secondo la mia interpretazione. Io non seguo una corrente comune, faccio sempre di testa mia”.
Le forme delle tue opere sono sempre frutto del tuo estro o accetti anche delle commissioni?
“No, le commissioni no, perché non sarei in grado di lavorare su commissione. Lavorare su commissione vuol dire essere prima di tutto un bravissimo artigiano e non un artista, perché uno che lavora su commissione è un artigiano e non un artista. L’artista è colui che fa delle cose che, a parer suo, sono originali e non sono fatte neanche per essere spiegate, semplicemente si creano. Il cliente a volte mi chiede qualcosa, ma l’unica cosa che concedo sono le dimensioni, le misure, oppure che mi dica ‘io ho questo pezzo qui’, lui mi dà il pezzo ed io intorno a quel pezzo ci costruisco qualcosa; però mai accetto un disegno vero e proprio che mi dà il cliente, questo non lo faccio, perché non sono in grado di farlo e non mi va neanche bene rifarlo, non ho lo stimolo per farlo. Io la sfida la faccio con me stesso e ogni volta mettendomi in gioco, cercando di fare cose sempre diverse, per questo non faccio disegni, perché poi inevitabilmente ti può succedere di andare a guardare e prendere spunto da quello che già hai fatto, mentre io questo non lo faccio”.
In prevalenza realizzi lampade, ma ho notato anche tavoli e quadri: questi ultimi sono su richiesta?
“No, il tavolo è un oggetto di uso comune che esiste dalla notte dei tempi. Io cerco di dargli delle forme molto estrose, particolari, poi se siano belle o meno lo lascio decidere agli altri. Questo non lo faccio per far sì che piacciano agli altri, prima di tutto io lo faccio perché mi piace fare qualcosa di azzardato: azzardare delle forme come giusto che sia e non rimanere sempre nell’oggetto classico, un piano e quattro zampe”.
Allora fai lampade, tavoli, quadri ed anche altri oggetti?
“Sì, faccio dei quadri con orologi illuminati, poi sulla mia pagina Facebook si può vedere una ‘scorribanda’ di soggetti. Prima di iniziare a fare questo, sei, sette anni fa, facevo delle altre cose, reinventando degli oggetti come dei mobili antichi che non si vendevano, cominciando a modernizzarli, azzardando, ad esempio, dei colori un po’ improbabili. Poi, approntando due lampade al volo per illuminare il banco, un giorno è partita questa idea, senza volerlo: sono state notate da due antiquari che hanno fatto la loro prima recensione proprio lì a Ponte Milvio e le ho vendute subito. È stata una folgorazione, se no neanche le avrei fatte più. Se non fossero venuti quei due antiquari probabilmente neanche le avrei continuate a fare”.
Quel giorno hai detto che è stato sei, sette anni fa?
“Sette anni fa, esattamente era marzo/aprile del 2015”.
C’è un motivo ricorrente nelle tue opere?
“Intanto, fondamentalmente, l’arte di recuperare tutto ciò che viene buttato via dal consumismo sfrenato dell’ultimo secolo, quando invece si potrebbero tranquillamente recuperare, come ultimamente vedo fare, tutti i materiali, dalla plastica al legno, al ferro, qualunque tipo di metallo, il vetro… Quindi parto da questo, che ho associato anche alla passione per la meccanica, che ho sempre avuto, e per la creatività. Io fin da piccolo, da solo, pur di non annoiarmi, me ne andavo nel garage di mio padre e dovevo creare qualcosa, qualunque cosa, anche se non aveva senso. Sono stato pomeriggi interi a fare delle cose improbabili, però si vedeva che avevo voglia di fare. Le prime volte toccavo la saldatrice e mi bruciavo gli occhi, mio padre se ne accorgeva, mi gonfiava di sganassoni, perché non voleva, e io invece continuavo perché mi piaceva saldare, svitare, imbullonare: la passione per la manualità ce l’ho sempre avuta”.
In base a cosa scegli i materiali?
“Non li scelgo, mi devono andare davanti agli occhi e in quel momento li accolgo tutti. Praticamente, io prendo quasi qualunque cosa possa essere interessante o utile, non è detto che nel momento in cui la prendo la utilizzo subito, a volte può passare anche un anno. Se non mi viene l’idea giusta subito, non è che prendo l’oggetto, lo guardo fino a spremere le meningi e capire cosa ne posso fare; no, aspetto semplicemente l’illuminazione che viene da sé, perché ho capito che così è più facile creare delle belle cose piuttosto che farle in maniera forzata”.
Usi prevalentemente materiali che vengono dal mondo delle auto, delle biciclette…
“Tutto ciò che è meccanico ed oltre, tutto quello che è ferro, metallo in generale, quindi, può essere alluminio o acciaio e prevalentemente è quello, ma a volte ho usato anche ottone o rame per fare degli inserti. Ad esempio, per fare due fanali di una locomotiva non c’è niente di meglio di due pomelli di ottone di qualche vecchio mobile da applicare davanti. Quindi utilizzo vari materiali, però prevalentemente parto da dei pezzi meccanici e poi, sicuramente, da altro materiale ferroso o comune che purtroppo devo comprare per forza, come cannucce, tubi, angolari, tubolari, ferro pieno, tutto ciò che serve da elemento di congiunzione tra i vari materiali meccanici”.
Il riciclo dei materiali contraddistingue un’anima a difesa dell’ambiente?
“Odio lo spreco. A volte mi hanno detto: ‘Ma che sei un accumulatore seriale?’. No. Io gli accumulatori seriali li ho visti e sono delle persone malate. Il mio è un accogliere gli oggetti che deriva dal fatto che prima di fare questo ho fatto il trasportatore, traslocatore; già da quando ero più ragazzino, a 12 anni, accompagnavo mio padre. Spesso capitava che i clienti lasciassero qualcosa tra un trasloco e l’altro e quindi tra oggetti, mobili, giocattoli, quadri, c’era un po’ di tutto. Tutto ciò si portava a casa, si regalava, come si attaccava il quadro che piaceva e la bicicletta la usavi. Quindi questa cosa di ‘smucinà’, come si dice a Roma, è venuta naturale. Quando mi è capitata poi l’occasione dopo tanti anni, attorno ai 25 più o meno, di fare non solo i traslochi, ma anche gli sgomberi delle cantine, è stata una festa: lo facevo non tanto per guadagnare quelle poche decine di mila lire, ma per la curiosità di chissà cosa si sarebbe potuto trovare in queste vecchie cantine e ti assicuro che ho trovato dei veri e propri tesori. Quindi ho accumulato tanti oggetti che ho ricollocato anche senza stravolgerli. Ci sono state, ad esempio, cose che ho rivenduto, senza mandare alla discarica, una cosa che mi dava molto fastidio, così come mi dà fastidio buttare il pane vecchio, il pane del giorno prima, perché ho proprio una forma di rifiuto per lo spreco. A volte, poi, devo dire che i materiali che utilizzo per creare queste cose sono più belli nella maniera riciclata che nella loro funzione originale, anche perché molti pezzi stanno all’interno di motori, all’interno di carrozzerie, quindi sono invisibili. Invece così non solo recupero un po’ di materiale risparmiando un po’ di CO2, ma questi oggetti hanno anche una funzione visiva più bella di quella che non era in realtà nella versione originale. Molta gente dice: ‘Ma questa è una frizione? Ma guarda che bella base è venuta con una frizione!’. La frizione sta all’interno di un motore e tu non la vedi mai, sta anni chiusa dentro una scatola di ferro, quindi, faccio anche prendere una boccata d’aria a degli elementi altrimenti chiusi in una scatola a vita che poi si cambiano e si buttano e vanno alla discarica”.
Doni a questi elementi luce e bellezza…
“Diciamo che dono sicuramente la luce, perché è l’elemento luminoso che io applico. La scultura fine a sé stessa rimane una scultura, ma se ha anche una funzione di utilità, acquista più valore, perché la scultura arreda, ma se fa luce arreda ancora di più”.
Qual è, quindi, il tuo approccio alla creatività? C’è una filosofia che sottende alla tua arte?
“Non ispirarmi a nessuno, mettersi sempre in gioco con sé stessi e usare la propria fantasia e non quella degli altri. Al limite, lo spunto lo puoi prendere dalla natura, ma non da quello che hanno fatto gli uomini. Io ho sempre detto alle persone che hanno cercato di fare le cose come le mie: ‘Voi le potrete fare anche mille volte più belle e preziose delle mie, ma sarete sempre degli scopiazzatori, bravissimi, però avrete sempre preso l’idea da qualcun altro prima di voi’. Io non mi sento un artista, mi sento uno che fa delle cose che hanno delle forme artistiche, ma chi ne sa più di me mi ha detto sempre: ‘Sei originalissimo, perché non somigli a nessuno’. Ho delle opere in case di persone molto famose, di cui non faccio il nome, che mi hanno appunto detto di aver girato il mondo, portato in casa delle cose particolari, artistiche da tutte le parti del globo, ma mai come le mie che non hanno mai visto da nessuna parte. Tutto questo io l’ho ottenuto senza cercarlo, senza volerlo, faccio queste opere e basta. Io ho sempre detto: nel momento stesso in cui avrò un blocco finale, totale e non riuscirò più ad essere originale e comincerò ad accorgermi di essere ripetitivo, in quel momento lì io smetterò immediatamente di fare quello che faccio, perché quando uno ripete cose già viste e fatte, evidentemente è perché non ha più nulla da dire e a me piace sempre mettermi in gioco con cose nuove. Magari farò degli oggetti diversi, semplicemente un’altra tipologia di cose. Che ne sai quello che ci dice il futuro… non è possibile leggerlo da nessuna parte, aspettiamo”.
Hai detto che persone famose hanno le tue opere in casa. Sulla tua pagina Facebook ho notato proprio la gioia nel far vedere come i tuoi estimatori collocano in casa le loro opere. C’è stata una volta in cui hai avuto più soddisfazione di altre?
“Veramente no, perché non posso discriminare una persona comune che ha fatto un sacrificio, magari spendendo 200 euro. Io non è che mi chiamo Van Gogh, Schifano o sono Michelangelo: faccio delle cose alla portata un po’ di tutti, compatibilmente con i miei costi, il mio tempo, le mie spese per realizzarlo. Purtroppo, anche quello, oltre al lato artistico, lo devi considerare. Però ho avuto la soddisfazione di consegnare personalmente delle mie cose in casa di personaggi pubblici molto conosciuti. Poi, un’azienda internazionale ha realizzato il logo aziendale con una lampada che ho fatto io. Entrambe sono delle grosse soddisfazioni, devo essere sincero, mi hanno gratificato e mi hanno convinto che le cose che faccio piacciono. Altrimenti, io normalmente sono una persona molto insicura delle cose che fa, anche se poi le faccio molto bene. Metto, però, sempre in dubbio che siano fatte bene, come dire, non sono uno presuntuoso che pensa di saperle fare al 100 per cento e, poi, se espone fa delle figure misere. Resto sempre sicuramente con i piedi per terra. Molto spesso torno a casa e non ho venduto niente, però almeno quella quindicina, ventina di persone che si sono fermate a guardare le mie cose mi hanno detto: ‘Incredibile, fa delle cose stupende, meravigliose’: almeno questo incita, stimola e incentiva ad andare avanti e a non mollare solamente perché magari in un periodo non vendi niente. Bisogna non dargliela vinta, come si dice a Roma”.
In un post hai scritto: “Fin dalle prime luci dell’alba, Ponte Milvio resta uno spettacolo da godere, io ci metto un po’ di colore e qualche oggetto di contorno, mentre il Tevere scorre pigro”. È per questo che hai eletto vetrina per eccellenza delle tue opere Ponte Milvio?
“Diciamo che io sono legato sentimentalmente a Ponte Milvio, perché io sono stato concepito qui, nel senso che mio padre e mia madre sono usciti un giorno loro due e sono tornati in tre, sono stato concepito proprio sotto Ponte Duca D’Aosta. Sono romantico. All’epoca i miei erano due ragazzi di 18 anni che erano contrastati dalle rispettive famiglie perché venivano da due estrazioni sociali diverse, ma chiaramente a quell’età non si sentono ragioni, quindi hanno fatto, come si dice a Roma, il fattaccio e sono stato concepito lì, proprio sotto al ponte da dove si entra per accedere al mercato. I miei nonni sono di piazza Melozzo da Forlì, poche centinaia di metri da lì, ed io sono andato a scuola lì: Ponte Milvio per me era il giretto quotidiano quando ero un ragazzino di 7, 8 anni, il Flaminio è stata sempre casa mia e ho dei ricordi incredibili, ci sono legato proprio a livello affettivo in maniera incredibile. Io quando arrivo a Ponte Milvio spesso giro la poltrona al contrario, chi mi conosce lo sa, do le spalle al pubblico, mi metto a guardare il fiume che scorre, mi guardo tutto e mi faccio un tuffo indietro di 40, 50 anni, una pagina bellissima della mia vita, ecco perché sono legato particolarmente a Ponte Milvio, niente di più”.
Hai un’anima così romantica e bella, oltre ad esprimere i tuoi sentimenti nelle opere che realizzi, scrivi anche poesie?
“Io sono una persona fondamentalmente ignorante, molto facile all’irritazione, perché non sopporto prepotenze, soprusi, egoismi, prevaricazioni, cose che mi urtano davvero il sistema nervoso. Mi farei anche ammazzare per una causa giusta, non mi giro mai dall’altra parte, anche quando dovrei starmi zitto e mozzicarmi la lingua, come si dice a Roma ‘mozzicati la lingua ogni tanto’; invece, io mi farei ammazzare perché, sempre come si dice a Roma, ‘un cecio in bocca non me lo so tené’. Ho amato molto scrivere, ho scritto fino a una ventina d’anni fa, mi piaceva ogni tanto scrivere delle cose e le ho anche fatte vedere a una persona che sta nel mondo dello spettacolo, che è papà di una famosissima cantante italiana, che è stato ospite a casa mia negli anni passati, che era amico di amici comuni. D’istinto gli feci leggere alcune cose e lui mi disse: ‘Sono bellissime, si possono adattare e mettere in musica’. Poi invece non ne ho fatto niente, perché io sono molto restio al mondo dello spettacolo, diciamo che tendo sempre a fare un passo indietro, m’impaccio davanti ad una telecamera, sono molto, molto a disagio davanti ad una telecamera, mi dà fastidio, quindi sono molto, molto riservato. Però non ti nascondo che ho scritto, ho scritto tantissimo, delle cose bellissime. Poi un bel giorno, quando mi sono separato con la mia prima moglie diciamo, la mamma di mio figlio, in un momento di rabbia, buttai questo blocco, lo feci a pezzi e non ho più scritto niente. Stranamente, poi, ho conosciuto la mia attuale compagna che scrive in una maniera incredibile, una capacità dialettica fantastica, ha una capacità di espressione e di narrativa pazzesca che quando ti racconta un film sembra che lo stai guardando, cosa che non è facile. Io sinceramente non ho più avuto modo di scrivere. A volte scrivo delle cose molto brevi, molto stringate sugli oggetti che faccio, ma non lo so se c’è qualcosa di poetico, non me ne accorgo, non lo faccio apposta sicuramente. Cerco di non essere troppo schematizzato, troppo stereotipato, tipo questo pezzo è alto così, è largo così, pesa così e costa così; no, cerco sempre di dare una piccola descrizione artistica e sentimentale. Ciò mi è stato suggerito da una persona che sta nell’ambiente dell’arte, mi ha detto: ‘Quando fai un pezzo non descrivere soltanto le cose tecniche, raccontaci qualcosa di tuo passionale, fai vedere che ci hai messo il cuore quando le fai’. Quindi, un piccolo tocco ce lo faccio sempre, ma certamente non ci faccio una sviolinata”.